| #72 DDDD27.05.2005 - 16:23 |
| Der Kardinal im Sturm und der Gegenwind für Ratzinger Spekulationen vor dem Konklave: Der frühere Mailänder Erzbischof Carlo Maria Martini galt lange als "papabile" und wirbt nun angeblich für den Rivalen des Deutschen von Paul Badde Keinem Kardinal ist der Sturm vor dem Sarg des Papstes so sehr in die Gewänder gefahren wie Carlo Maria Martini. Millionen, nein Milliarden haben das Schauspiel gesehen. Kaum ein anderes Detail zur Nachfolge Karol Wojtylas auf dem Stuhl Petri ist besser bezeugt. Der Wind hatte das Meßbuch des toten Papstes am letzten Freitag noch nicht zugeklappt, als er dem hochgewachsenen Kardinal mit wildem Wehen die purpurrote Toga aufblähte. Wie ein Cherub stand Carlo Maria Martini da plötzlich zum Abschied am Altar: wie einer der Erzengel, die mit loderndem Flammenschwert den Eingang zum Paradies bewachen. Er sei "ein Mann Gottes", hieß es kurz danach aus dem Mund eines Jesuiten in Rom. Früher hieß es oft, Kardinal Martini aus der Gesellschaft Jesu sei überhaupt der wohl wichtigste Kandidat für die Nachfolge des letzten Papstes, der bedeutendste "papabile" Italiens. Das war allerdings bevor der charismatische Kardinal sich im Jahr 2002 auf dringenden Wunsch aus Krankheitsgründen von Johannes Paul II. von seinem Amt als Mailänder Erzbischof entbinden ließ. Nach Erreichen der Altersgrenze (75) wollte er seinen Lebensabend fortan nur noch in Jerusalem beschließen, wo er seit langem eine Wohnung hat. Diese Woche hieß es hingegen in der italienischen Presse, Martini leite inzwischen in einer Art "Duell" mit Kardinal Ratzinger das Lager von dessen Gegnern unter den 115 wahlberechtigten Kardinälen, bevor das Konklave überhaupt begonnen habe. Statt des prominenten Chefs der Glaubenskongregation empfehle er Kardinal Dionigi Tettamanzi, seinen Nachfolger in Mailand, um den sich das Lager "der Erneuerer" sammeln solle. In und aus Rom läßt sich in diesen Tagen alles Mögliche unwidersprochen und ungestraft behaupten. Auch das absurdeste Gerücht aus dem Vatikan gilt derzeit auf dem Nachrichtenmarkt als heiße Ware. Dementiert wird prinzipiell nichts. Offiziell bekannt wurde nach der vorletzten "General-Kongregation", daß sich die Kardinäle bei dieser Versammlung nur über einen Punkt ausgetauscht und geeinigt hätten: nämlich die Geheimhaltung aller Vorgänge und das strikte Schweigen gegenüber den Medien. Zuvor war durchgesickert, Kardinal Carlo Martini habe als einer der ersten Redner auf den täglichen Versammlungen der Kardinäle über Fragen der Evangelisierung und Ökumene gesprochen und dabei Frieden und Gerechtigkeit als vorrangige Themen für die Kirche bezeichnet; Fragen der Bioethik, der Familie und der Sexualität gehörten ebenso dazu. Auch dafür gab es freilich keine Bestätigung. Als harte Fakten bleiben da nur die biografischen Daten. Martini wurde am 15. Februar 1927 in Turin geboren und trat mit 17 Jahren in den Jesuitenorden ein, der im Zeitalter des Barock die Gegenreformation leitete (und im katholischen Teil Europas dabei das Gesicht der Städte und Dörfer entscheidend formte). Bis jetzt ist die lange Ausbildung aller Mitglieder ein Merkmal des Ordens geblieben. Martini aber wurde 1952 im Alter von nur 25 Jahren schon zum Priester geweiht. Er gilt als ein Experte der Spiritualität des heiligen Ignatius von Loyola. 1978 hat Papst Paul VI. ihn deshalb gebeten, die jährlichen Exerzitien im Vatikan zu halten, wie davor schon Karol Wojtyla - der Carlo Martini später, als Papst Johannes Paul II., am 6. Januar 1980 persönlich zum Erzbischof weihte. Wegen seiner Parkinson-Krankheit scheide Martini selbst für die Wahl aus, hieß es bisher. Dieses Argument wird sich nach dem parkinsonkranken letzten Papst nicht unbedingt halten lassen. Millionen Katholiken aber beten zurzeit vor allem darum, der Heilige Geist möge genauso so in das Konklave fahren wie der Wind auf dem Petersplatz in die Gewänder Kardinal Martinis. Artikel erschienen am Sa, 16. April 2005 |
| #71 ffffffffffHomepage27.05.2005 - 16:05 |
| http://tecalibri.altervista.org/M/MARTINI-CM_crono.htm Un Papa che ha saputo chiedere perdono Card. Carlo Maria Martini Papa Giovanni Paolo II è andato incontro al Signore concludendo nella sofferenza fisica il suo lungo cammino terreno. Per lui, come per ogni altro uomo, la morte deve essere stata dura. Essa, come diceva un grande vescovo recentemente scomparso (Mons. Aldo Del Monte), parlando della propria morte vicina è uno dei più scabrosi orridi della storia. Chi non ha paura del non umano, se è un vero uomo? E Karol Woytila era un vero uomo, un uomo dalle grandi capacità e dai grandi talenti, mistico, veggente, profeta, trascinatore di folle e insieme conscio della sua umanità, che metteva volentieri sotto la protezione della madre di Gesù. In tanti lo abbiamo accompagnato spiritualmente in questo viaggio estremo: molta gente semplice che ha pregato in Piazza San Pietro o nelle proprie case o monasteri, come anche molti non cristiani, musulmani, ebrei, buddisti. Anche qui a Gerusalemme si è mostrato un grande rispetto e affetto per la sua persona. Abbiamo pregato con lui e per lui perché non si sentisse solo in questo momento supremo, in cui luomo vive la propria fragilità e il proprio nulla davanti a misteri insondabili. Abbiamo fiducia che la Madonna, da lui così teneramente invocata in particolare col Rosario e quindi con linvocazione ripetuta prega per noi nellora della nostra morte, gli sia stata anchessa vicina in questo momento supremo. Non è possibile ora indicare, in unattività di quasi ventisette anni, ricca di interventi magisteriali (basta pensare alle numerose encicliche) e di iniziative pastorali (in particolare i suoi viaggi in ogni parte del mondo), elementi di sintesi o individuare gesti che siano come la cifra simbolica del suo pontificato. Scrivendo queste righe da Gerusalemme non posso non menzionare il suo impegno, espresso in tanti modi, non solo di combattere ogni forma di antisemitismo, ma in positivo di amare il popolo ebraico, di entrare in dialogo con esso, con le sue tradizioni, con la sua cultura. E stato il primo Papa in duemila anni di storia a entrare ufficialmente, con rispetto e amore, in una sinagoga. Qui a Gerusalemme poi è ancora viva la memoria della sua presenza umile e fraterna nellanno duemila, con gesti significativi come la visita a Yad Vashem e la preghiera presso il muro occidentale. Ma vorrei anche indicare un altro gesto, che a me è parso tra i più clamorosi e innovativi, coraggiosi e audaci: quello della prima domenica di Quaresima del 2000, in cui il Papa chiese perdono pubblicamente per le colpe storiche dei cristiani. Alla fine di questo millennio disse il Papa si deve fare un esame di coscienza dove stiamo, dove Cristo ci ha portati, dove noi abbiamo deviato dal Vangelo. E tra queste deviazioni denunciò quella gravida di conseguenze di aver confidato anche nella forza per imporre la verità. Questo gesto penitenziale disse allora non danneggerà in alcun modo il prestigio morale della Chiesa, che anzi ne uscirà rafforzato per la testimonianza di lealtà e di coraggio nel riconoscere gli errori commessi da uomini suoi e, in un certo senso, in nome suo. Giovanni Paolo II ha saputo non solo concedere il perdono al suo attentatore, il che è già un gesto eroico, ma anche fare quel passo ancora più difficile che è chiedere perdono facendo proprie le deviazioni e le colpe di altri, con limpegno di evitare in futuro simili errori. Anche per questa sua lealtà e coraggio gli siamo profondamente grati. Egli ha voluto percorrere fino in fondo il sentiero arduo e aspro del suo servizio alla Chiesa di Roma e alla Chiesa universale, fino allesaurimento delle forze fisiche, portando la croce e quasi cadendo sotto di essa. Pensiamo a lui con commozione, amore e riconoscenza, col desiderio che il cammino fatto con lui ci apra ancora nuove strade in cui entrare con lo stesso coraggio e audacia, confidando nella forza del Vangelo. Gerusalemme, 3 aprile 2005 Carlo Maria card. Martini, S.I. |
| #70 ddddddd27.05.2005 - 16:03 |
| Martini: «Stiamo attenti a Internet» «La comunicazione virtuale non potrà mai sostituire quella da cuore a cuore. Occorre essere consapevoli dei suoi limiti» MILANO - «Stiamo attenti a Internet. Se da un lato rappresenta una nuova opportunità, dall\altro può anche fare molto male. Anzi, se si usasse la rete in termini evangelicamente corretti, si dovrebbe arrivare a spegnere il computer». Questo il monito dell\arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, nel corso dell\omelia tenuta nella Basilica di Sant\Ambrogio. Il cardinale Carlo Maria Martini (Tamtam) COMUNICAZIONE DA «CUORE A CUORE» - L\occasione di una riflessione sulla comunicazione tramite Internet gli è stata offerta da un convegno sul tema organizzato all\università Cattolica dalla Cei, dal titolo «Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo, le opportunità della rete per incontrare l\uomo di oggi». Per il cardinal Martini «bisogna essere consapevoli delle potenzialità di Internet e dei suoi limiti». I quali, come ha ricordato il Papa, si fondano su questa verità: la comunicazione virtuale non potrà mai sostituirsi a quella comunicazione «da cuore a cuore» che, evangelicamente, presuppone un rapporto umano diretto. UNO STILE PER LA CHIESA - Questo vale, ha detto Martini, per i rapporti tra le singole persone, ma vale anche per la Chiesa, la quale «nel suo esporsi su internet - esporsi che va fortunatamente crescendo - deve trovare un suo stile». «Uno stile - ha sottolineato il Cardinale - che sappia invitare ad andare oltre la pagina stessa di Internet, uno stile che sappia non solo incuriosire, e in qualche modo inquietare, e al limite invitare a spegnere il computer, per leggere e meditare direttamente la parola di Dio e mettersi a pregare nella comunità concreta, non solo virtuale, dove si celebra l\Eucarestia e si vive la carità cristiana». La comunicazione vera, cioè, secondo Martini non può fermarsi su uno schermo virtuale. Per essere autentica, per diventare condivisione, incontro, deve essere diretta. Da qui l\invito del Cardinale ad affrontare i problemi posti da Internet con il dovuto «realismo», ma anche con fiducia sulle potenzialità che il nuovo mezzo comporta. SOLO NEI PAESI PROGREDITI - Si abbia dunque «fiducia - ha detto il cardinale - in ciò che i mezzi nuovi ci danno», ma nello stesso tempo si abbia anche la «capacità di superarli per arrivare sempre a quella comunicazione diretta immediata, da cuore a cuore, che è caratteristica della comunicazione evangelica». Infine da parte del cardinale questa sottolineatura: Internet è oggi potenzialità esclusiva dei Paesi progrediti, i sistemi sono al 95% in America e in Europa, mentre in Africa la percentuale è dello 0,25%. Non solo: «il 70% dell\ umanità - ha concluso Martini - non ha mai sentito parlare di Internet, e solo il 5% degli uomini ha oggi accesso ai siti». |
| #69 fffff27.05.2005 - 16:00 |
| Martini, domani l\addio a Milano Larcivescovo Carlo Maria Martini officerà in Duomo alle 11 lultima Messa da pastore della diocesi La sentinella che ha vegliato sulla città, lepiscopato del cardinal Martini, dopo ventidue anni consegna a Milano e al mondo un grande messaggio di fede, tutto scavato dal Vangelo, per la vita cristiana, e per la Chiesa. Basta scorrere lindice delle sue Lettere Pastorali, dal 1980 al 2002, fresche, incalzanti, innovative, compatte come pietre di un edificio spirituale in progressiva crescita, per valutare lopera di una straordinaria seminagione pastorale. Nello stesso tempo questo magistero si è rivelato un grande insegnamento anche per la vita civile, fatto scaturire dalle vicende della città e dellItalia in tutte le stagioni, incluse quelle del terrorismo, di Tangentopoli, della ricerca di identità politica. Sembra un paradosso, eppure il rivolgersi di Martini alla società civile su temi «laici» non è stato «un di più» da intellettuale e uomo di cultura, ma una risposta che egli sentiva che la Parola di Dio - di cui è altissimo studioso e umile discepolo - doveva dare agli interrogativi degli uomini, del pensiero e della scienza, del lavoro, della giustizia, delleconomia, degli affari. Questa missione richiama il modello di papa Gregorio Magno, che al cadere del sesto secolo, nello scontrarsi di due epoche, tra lo sfaldarsi del potere romano e il premere dei nuovi popoli, intese la sua funzione di vescovo come lettura e spiegazione della Scrittura perché il popolo potesse recuperare le ragioni della fede, e da esse trarre risposte alla crisi sociale. IL MAGISTERO DI MARTINI - Leggendo Ezechiele, Gregorio si immedesimava nella vocazione del profeta al quale Dio aveva detto: «Figlio delluomo, ti ho mandato come sentinella alla casa di Israele» (3,16). La sentinella è posta in vedetta a cogliere il dolore della gente e a portare nella voce la Parola di Dio, per allargare gli spazi nellanimo di coloro che versano nellangustia e da soli non saprebbero ricuperare coraggio e speranza. Qui cè tutto il magistero del cardinal Martini: la fedeltà alla Parola, locchio vigilante che discerne le insorgenti realtà che premono, la franchezza per indicare i percorsi di pensiero e le prospettive di azione che la Parola di Dio ispira e sollecita. Chiesa e società sono state coinvolte e intrecciate in una sola vicenda come mostra la duplice valenza di molte iniziative del Cardinale: la Scuola della Parola per i giovani, linsegnamento sapienzale ai laici, la cattedra dei non credenti per chi cerca la fede, le riflessioni nelle vigilie annuali di santAmbrogio sulla società, la vita internazionale e la pace. Ad ogni problema, e particolarmente alle ragioni etiche dello stato sociale, ai rapporti tra giustizia ed economia, alla qualità della vita, alla funzione redentiva della giustizia penale, alla solidarietà privata e pubblica, al primato della politica come frutto di una coscienza condivisa, egli ha saputo guardare ogni volta con occhi critici e disincantati ma sempre benevoli e creativi per individuare gli spazi idonei a far emergere la libertà e la dignità delluomo. Accanto allannuncio della Parola - con la franchezza profetica e la compassione che ascolta - già Gregorio aveva appreso da Ezechiele la necessità di stare in silenzio a sentire le sofferenze del popolo. Un esempio è quello che Martini ha dato ascoltando, non una sola volta, la «cascata di interrogativi» ed i «sospiri di desiderio» dei carcerati. È da questo suo assumere le sofferenze delluomo nelle varie categorie e situazioni che forse si è fatto più forte il desiderio di andare a Gerusalemme, la città che, come egli dice citando un midrash rabbinico, ha ricevuto dal Creatore, «accanto a nove porzioni di bellezza e di scienza, altrettante nove porzioni di dolore e di sofferenza». A GERUSALEMME - Gerusalemme, a cui ha sempre anelato di andare Ignazio di Loyola, è il luogo dove uno ritrova lorma dei piedi affaticati e doloranti di Cristo, il crocifisso che si è caricato dei peccati e delle sofferenze dellumanità per dissolverli e annullarli nella risurrezione. Con carattere schivo e rispettoso, Martini ha privilegiato nella formazione i tempi lunghi, aspirando a un cristianesimo adulto, consapevole, pensante e responsabile. Una fede di questo tipo non poteva essere che dialogica. Perché egli ha mostrato di essere convinto che, in sostanza, è Dio che conduce i cammini delluomo, ed educa alla libertà vera. E il rapporto che la Chiesa stabilisce con gli uomini deve essere tale da servire quellazione di Dio, facendosene attraversare essa stessa le proprie viscere: farsi educare per educare, farsi liberare per liberare, ascoltare per annunciare. Alla fine resta lassoluto ignaziano del «soli Deo gloria». «Il primato di Dio rispetto a ogni iniziativa o attività umana, il primato di Gesù sulla Chiesa, quello della grazia sulla morale, quello della persona sulle strutture, quello dellinteriorità sul fare esteriore. Il primato dellessere sullavere» (così aveva scritto nella lettera pastorale del 1995-96 Ripartiamo da Dio). Gli anni del cardinale Martini sono una traccia su cui camminare ancora, uno stile di Pastore che annunzia la speranza, che dà voce alla Parola, che sente il carico profetico di proporre nella vita, nelle scelte, nelle politiche, la fedeltà al Vangelo (è la serietà del cristianesimo). Sono limmagine di chi si lascia attraversare dal dolore del mondo, dalle domande e dai dubbi delluomo contemporaneo al punto da provocare già in se stesso la fraternità per essere partecipe, come Teresina di Lisieux, della «mensa degli increduli». Affinché tutto possa ricondurci a Colui che ha inviato il Pastore al suo popolo perché sia sentinella nellalba di nuovi tempi. Achille Silvestrini cardinale |
| #68 dddddd27.05.2005 - 15:40 |
| E il «rivale» Martini dà il via libera Nello sguardo dellex arcivescovo di Milano il segnale ai porporati, conquistati dalla fermezza di Ratzinger STRUMENTI VERSIONE STAMPABILE I PIU\ LETTI INVIA QUESTO ARTICOLO CITTÀ DEL VATICANO - Limmagine risolutiva, nel primo Conclave del Terzo millennio, resterà forse quella del cardinale Carlo Maria Martini con le mani posate sul bastone, il profilo ieratico e lo sguardo intenso sollevato verso il confratello Joseph Ratzinger alla messa Pro eligendo Pontifice di lunedì mattina, prima che i cardinali si chiudessero nella Sistina. Perché è in quel momento, mentre il decano addolciva il rigore della sua omelia e parlava della «verità nella carità», che la situazione si è sbloccata. Il cardinale Ennio Antonelli parla a Radio Toscana Network e lo fa capire in un sorriso, «è un grande segno di unità per la Chiesa, cè stato un clima di festa e di comunione, e la rapidità dellelezione parla da sola...». E il cardinale ultraottantenne Luigi Poggi: «Mentre parlava Ratzinger, molti confratelli si sono guardati in faccia e hanno deciso, "è lui, è evidente"». Nessun muro contro muro. Se lelezione si è compiuta al quarto scrutinio significa che le «grandi anime» capaci di segnare il pre-Conclave si sono trovate daccordo sullessenziale: finché Martini ha dato il via libera. Prima lintervento netto del gesuita biblista allapertura delle congregazioni: silenzio iniziale, Martini che rompe il ghiaccio e parla per i sette minuti concordati, altro silenzio, altri sette minuti dellarcivescovo emerito di Milano, ancora silenzio, e il cardinale venuto da Gerusalemme che interviene per la terza volta. Poi Ratzinger, capace di guidare le giornate delle congregazioni «con mano magistrale, garbo, gentilezza ma anche fermezza, quando occorreva», ricorda il cardinale Pio Laghi. E infine lomelia pronunciata lunedì dal decano: parole nette e prive di veli curiali come quelle del suo «antagonista». I due, in fondo, si stimano da sempre, e non è solo per la prefazione di Ratzinger alledizione della Prima lettera di Pietro curata da Martini, il libro che Giovanni Paolo II regalò a tutti i cardinali per il venticinquesimo anniversario di pontificato. Quando si trovarono su posizioni distanti, come a proposito della dichiarazione ratzingeriana Dominus Jesus («solo nella Chiesa vi è salvezza piena di mezzi salvifici»), Martini sfumò ironico: «La salvezza è possibile a tutti al di fuori di qualunque Chiesa, non cè dubbio, se ciascuno segue la Grazia di Dio, la coscienza morale e lo Spirito Santo. Ma sapete comè: il cardinale Ratzinger, per il suo ruolo, deve fare chiarezza, per così dire mettere i puntini sulle "i"...». Così alla fine, fra il teologo che invocava una «fede chiara» e il biblista che invitava a seguire «laudacia e il coraggio di Giovanni Paolo II» si è trovata unintesa. Perché si trattava proprio di coraggio, «la scelta di un Papa è difficile, quella dopo Wojtyla poi... Doveva avere tutti i titoli, al cento per cento!», sillaba ancora il cardinale Poggi. «Perché non è una cosa così: nella scelta di un Papa si deve andare sul sicuro, cera bisogno di un uomo che tenesse in mano la Chiesa come Ratzinger ha condotto giorno dopo giorno le congregazioni: dalle 9 a mezzogiorno e mezzo, sotto pressione ma sempre gentile e sicuro». Alla fine non avevano dubbi, «per me era scontato dallomelia ai funerali di Giovanni Paolo II», considera il cardinale Fiorenzo Angelini. I grandi della Terra a capo chino davanti al feretro, i milioni di fedeli in piazza, il mondo a guardare in diretta laddio a Wojtyla «e lui stava lì, al centro del sagrato, e ha saputo parlare come avrebbe parlato un parroco, "possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice!", con la semplicità dottrinale che solo i grandi maestri sanno raggiungere: direi che in quel momento ha disarmato anche chi poteva pensare che fosse un uomo glaciale e distaccato, rigido e giudice». Lo ha visto emozionato, Angelini: «Lui sa, sa veramente che oggi non è andato su un trono ma è asceso al calvario. È un uomo pieno di dignità e di carica soprannaturale e mi creda: dopo quella fumata, si è convinto di non essere stato glorificato ma crocifisso». Insomma, ci voleva qualcuno che se la sentisse: «Guardi che non era semplice, ci voleva davvero coraggio per succedere a Wojtyla, coraggio e fede». Diceva il cardinale brasiliano Araujo: «Nessuno dei cardinali vuole fare il Papa!». Bisognava trovare qualcuno che avesse una visione internazionale, sapesse guidare la macchina della Chiesa perché la conosce e, dopo i funerali, avesse la forza per non disperdere il patrimonio di fede raccolto intorno a San Pietro. Anche il lungo sguardo di Martini, nella Basilica, significava che in fin dei conti ce nera soltanto uno. Così il cardinale Laghi accenna a un sorriso, «"verità nella carità", quel passo dellomelia di Ratzinger è decisivo, perché lui ha sempre parlato della verità con amore: chi si è fatto unidea sbagliata scoprirà che è un uomo buono, gentile e comprensivo». Gian Guido Vecchi 20 aprile 2005 |
| #67 dddddd27.05.2005 - 15:39 |
| Relativismo, dopo il Papa il manifesto di Martini L\ex arcivescovo rilancia il dialogo. Una risposta alle teorie dei neoconservatori STRUMENTI VERSIONE STAMPABILE I PIU\ LETTI INVIA QUESTO ARTICOLO MILANO - «Si dice giustamente che cè troppo relativismo...». Piccola pausa. Spiegazione. Prosecuzione: «... Ma esiste anche un relativismo cristiano». Ulteriore spiegazione. E conclusione: «Quello di cui abbiamo bisogno è saper vivere insieme nella diversità». In che modo? Facendo «fermentare» le «cose profonde che abbiamo in comune, al di là delle differenze». Perché? Perché solo in questo sta la nostra «capacità di pace»: unica via per una pace individuale ma anche tra popoli, lunica, fra laltro, capace di «vincere anche il terrorismo». Lomelia volge al termine, e malgrado sia una messa e non un raduno laico la folla non si trattiene: cinquemila persone nel Duomo di Milano tornano per una sera ad applaudire il «loro» cardinale Carlo Maria Martini. Il quale, a poche settimane dal Conclave che ha «rischiato» di vederlo uscire Papa, prima che egli stesso convogliasse sul futuro Benedetto XVI Ratzinger anche i voti destinati a lui, lascia capire una volta di più che anche nella Chiesa possono esistere parole diverse per esprimere verità identiche. Martini parla nella «sua» Milano, dove per ventidue anni è stato arcivescovo: ma il suo pensiero resta a quella che ormai è la «sua» Gerusalemme, dove da tre anni vive. Parla a Milano, ma il suo orizzonte sono il mondo, la pace, lumanità. E pur senza citare mai Ratzinger in modo esplicito, limitandosi consapevolmente a quel «si dice», nessuno tra i presenti in Duomo può evitar di cogliere in quel punto un riferimento (chiaro quanto basta) al discorso del Pontefice sul «relativismo» come principale male del nostro tempo: discorso che Martini si guarda bene dal contraddire, anzi. Ma esiste anche un altro approccio, ricorda, per sottolineare che dire no al relativismo non significa affatto dire no al dialogo in tutte le sue forme: «Esiste anche - ripete - un relativismo cristiano». Loccasione per parlarne, in realtà, è un momento di festa: e cioè lomaggio che la Diocesi di Milano, a cominciare dal suo cardinale e arcivescovo Dionigi Tettamanzi, ha voluto rendere a Carlo Maria Martini per il venticinquesimo anniversario della sua nomina a vescovo decisa nel dicembre 79 da Wojtyla e formalmente avvenuta nel gennaio dell80. Nel luglio 2002, dietro sua richiesta, Martini aveva ottenuto da Giovanni Paolo II il «permesso» di rimettere il suo mandato in Diocesi per sopraggiunti limiti di età e potersi così dedicare ai suoi studi biblici a Gerusalemme. Ma di Milano è ancora vescovo emerito: e il suo successore Tettamanzi, nella messa solenne che Martini ha presieduto ieri sera, gli ha ceduto volentieri lo scranno principale sulla destra dellaltare occupandone uno più in basso, sul lato opposto. Che significa dunque «relativismo cristiano»? Martini lo spiega: significa «leggere tutte le cose che ci circondano "in relazione" al momento in cui tutta la storia sarà palesemente giudicata». Vale a dire il momento in cui sarà Dio a farlo, alla fine dei tempi. Perché sul relativismo il pontefice ha ragione, dice Martini senza citarlo: non è vero che tutte le verità sono uguali, che una vale laltra. Ma «sarà allora, quando verrà il Signore, che finalmente tutti sapremo. Allora si compirà il giudizio sulla storia, e sapremo chi aveva ragione. Allora le opere degli uomini appariranno nel loro vero valore, e tutte le cose si chiariranno, si illumineranno, si pacificheranno». E fino a quel giorno? Martini va col pensiero al Medio Oriente e a Gerusalemme, il cui vescovo ausiliare Kamal Hanna Bathish ha voluto essere a sua volta presente alla celebrazione milanese di ieri. E il cardinale parla di ciò che dalla sua abitazione di Gerusalemme vede «alla finestra ogni mattina», prende quella terra «dove si è particolarmente sofferto» come un paradigma per spiegare ancora. «Quello di cui abbiamo tutti un immenso bisogno - dice - è imparare a vivere insieme nella diversità: rispettandoci, non distruggendoci a vicenda, non ghettizzandoci, non disprezzandoci. Senza la pretesa di convertire gli altri da un giorno allaltro, il che crea spesso muri ancora più invalicabili. Ma neanche soltanto tollerandoci: tollerarsi non basta ». Cosa allora? Il cardinale indica la risposta nel passo del Vangelo che ha appena commentato: «Che tra laltro - dice suscitando il sorriso dei numerosissimi sacerdoti e prelati presenti - non è Giovanni 20 come è scritto in questo libretto bensì Matteo 28... "Osservare tutto ciò che vi ho comandato", dice Gesù. E ciò che Gesù ci ha comandato non è altro che il Discorso della Montagna: un discorso in cui parla di gioia, di lealtà, di moderazione nel desiderio di guadagno, di amore, di sincerità. Ecco: il nostro tentativo deve essere quello di fermentarci a vicenda, perché ciascuno sia portato a raggiungere più profondamente la propria autenticità, la propria verità». Fino a scoprire, conclude Martini, che alcune verità del cristianesimo - quelle appunto della Montagna - non possono non essere verità di tutti: «Di fronte a parole che parlano di sincerità, di pace, di lealtà, nessuno può dire "questo non è per me"». Paolo Foschini 09 maggio 2005 |
| #66 fffffff27.05.2005 - 15:36 |
| Carlo Maria Martini Les larmes de Marie Fr. Matthieu Wallut, o.s.b. Saint-Maurice, Éd. Saint Augustin, 2002. - (11x18), 73 p., 8 . Esprit & Vie n°72 / décembre 2002 - 2e quinzaine, p. 14. Le cardinal Martini réunit ici les enseignements et homélies prononcés lors d\un pèlerinage milanais à La Salette pour le cinquantième anniversaire des apparitions. On le sait, la Vierge y est venue en larmes. L\auteur développe ce thème avec la maîtrise qu\on lui connaît, tant dans la méthode d\exposition que dans la vigueur doctrinale du contenu. Nous découvrons au fil de ces pages la fécondité du schéma traditionnel : lectio, meditatio, contemplatio et applicatio. C\est un sens plénier du message de La Salette qui nous est ici dévoilé : reposant avant toute chose sur l\Écriture, et accueillant toutes les harmoniques de la mystique et de la poésie. Le cheminement est rigoureusement exégétique - ce qui nous permet d\échapper fort heureusement à un « vague sentiment religieux peu compromettant pour la vie ». Deux instructions suivies chacune d\une homélie. Tout d\abord une analyse de la prophétie de Syméon au Temple : « Marie souffre et pleure encore ». L\homélie, qui suit, reprend le thème de l\épître aux Hébreux : « Avec larmes et grand cri » faisant le lien entre la souffrance de Marie, manifestée à La Salette, et celle du Christ à Gethsémani. Le deuxième enseignement est consacré à la figure de Marie au pied de la croix. La dernière homélie nous montre enfin Marie, ambassadrice de la réconciliation, d\après 2 Co 5, 20 : « Laissez-vous réconcilier avec Dieu ». Un ouvrage qui nous permettra de vérifier la qualité de nos méditations spirituelles et, le cas échéant, de retrouver un schéma de prière qui aboutisse à une conversion sincère. |
| #65 dddddd27.05.2005 - 15:33 |
| Die Kraft der leisen Töne DT vom 24.05.2005 Blauer Umschlag, schwarze Schriftzeichen: Auf dem Tisch liegt Kardinal Joseph Ratzingers Buch "Einführung in das Christentum". Allerdings für den durchschnittlichen Mitteleuropäer kaum zu lesen. Es ist die chinesische Übersetzung eines der wichtigsten Werke des neuen Papstes Benedikt XVI. "Für uns ist dieser Papst kein Unbekannter. Wir kennen ihn von Büchern", lacht der chinesische Priester Peter Du in der Geschäftsstelle des China-Zentrums St. Augustin. Er betreibt im nahe gelegenen Priesterseminar der Steyler Missionare theologische Studien, zusammen mit etwas über einem Dutzend weiterer chinesischer Theologen und Theologinnen. Er sitzt dort zusammen mit Schwester Angelina Chang, einer chinesische Ordensfrau, die in Essen ein medizinisches Zusatzstudium absolviert, Pater Anton Weber, dem Direktor des China-Zentrums, und Katharina Wenzel- Teuber, der Chefredakteurin von "China Heute", der Zeitschrift des Zentrums. "Es ist ein Traum der chinesischen Katholiken, dass der neue Papst kommt", sagt Pater Weber, während er die chinesische Übersetzung der "Einführung in das Christentum" in Händen hält. Das China-Zentrum arbeitet in den Räumen der Steyler Missionare, ist aber keine ordenseigene Institution. Es ist ein eingetragener Verein, dessen etwa 30 Mitglieder katholische Werke und Orden aus dem deutschsprachigen Raum sind, darunter die Steyler. Anfang Mai trat gerade als erste Diözese Rottenburg-Stuttgart dem Verein bei. Gegründet wurde das Zentrum 1988. Die Geschäftsstelle mit ihren sechs Mitarbeitern und Mitarbeiterinnen - davon einige in Teilzeit - soll Begegnung und Austausch zwischen den Kulturen und Religionen des Westens und Chinas fördern. Dafür gibt es "China heute" und andere Publikationen heraus. Das Zentrum arbeitet dabei eng mit dem "Institut Monumenta Serica" zusammen. Die Titel dieser Kooperation umreißen programmatisch die Arbeitsweise des China-Zentrums: "The Chinese Face of Jesus Christ" (zu deutsch: Das chinesische Gesicht von Jesus Christus"  , "Hongkong. Kirche und Gesellschaft im Übergang", "Fallbeispiel China. Ãkumenische Beiträge zu Religion, Theologie und Kirche im chinesischen Kontext" oder "Religion im heutigen China. Politik und Praxis" heißen etwa die Veröffentlichungen. Aber auch Ausstellungen über das Judentum in China wurden konzipiert. "Bewusstseinsarbeit", nennt Wenzel-Teuber diese Projekte bündig. "Trotz aller Chinanachrichten, über Religion wird wenig ausgewogen berichtet, entweder gibt es nur die verfolgte Untergrundkirche, oder die offizielle Kirche, das ist ein Schwarzweiß-Bild, aber das Bild ist differenzierter, wir bieten zuverlässige, gut recherchierte Informationen aus China, das ist bekannt", erklärt die Chefredakteurin von "China heute". Und der Priester Peter Du, der gut Deutsch spricht, stimmt ihr zu: "Ich werde in Deutschland oft gleich nach diesen innerkirchlichen Spannungen zwischen Untergrundkirche und offizieller Kirche angesprochen, das ist aber zu sehr ein Stereotyp." Das China-Zentrum publiziert aber nicht nur, sondern arbeitet auch mit den Ortskirchen in China, Taiwan, Hongkong und Macau selbst zusammen. Es hilft beim Übersetzen und Weiterleiten von Projektanträgen in der Entwicklungshilfe oder für Kirchenneubauten im chinesischen Raum. Oder es organisiert Reisen von deutschen Bischöfen nach China. Außerdem informiert das Zentrum Politiker über die kulturelle und religiöse Situation, wenn diese nach China reisen wollen. Kontakte zum Auswärtigen Amt bestehen über das Katholische Büro in Berlin. Auch die Justiz wendet sich an das China-Zentrum, wenn es etwa gilt, Anträge von Asylbewerbern richtig einzuschätzen. Vereinzelt lassen sich sogar Manager aus der Wirtschaft über die kulturellen Gepflogenheiten in China aufklären. Alle diese alltägliche Arbeit des China-Zentrums abseits der publizistischen Tätigkeit geschieht diskret eher im Hintergrund. Diskretion, leise Töne, Ausgewogenheit - das prägt auch im direkten Gespräch mit Direktor Pater Weber, Chefredakteurin Wenzel-Teuber, den chinesischen Studenten Schwester Angelina und Priester die Atmosphäre. Politisch schrille Töne im Pressemitteilungs-Format und scharfe schlagzeilenträchtige Forderungen sind im China-Zentrum nicht zu hören. "Wir erwarten schon, dass die Politik nicht nur aus wirtschaftlichen Überlegungen sich mit China beschäftigt, sondern auch immer wieder die Menschenrechte anspricht, nicht provokativ, nicht aggressiv, nicht in einer Form, die China vor den Kopf stößt. Wenn Kritik in gemäßigter Form angebracht wird, dann ergibt sich für China irgendwann die Möglichkeit, etwas zu tun, was dann nicht irgendwie wie eine Reaktion auf etwas aussieht, das gefordert wurde, steter Tropfen höhlt den Stein", umreißt Pater Weber Möglichkeiten und Grenzen des politischen öffentlichen Gesprächs. Hinter den Kulissen würden bei Staatsbesuchen oft Listen von Gefangenen übergeben, verhandelt und um Freilassung gebeten. So argumentiert Pater Weber aber nicht aus Ängstlichkeit oder Opportunismus, sondern eben aus Kenntnis der chinesischen Kultur, zumal des Denkens der Kommunistischen Partei in der Volksrepublik China. "Ordnung" und "Stabilität" sind die entscheidenden Schlüsselworte an diesem Tag in St. Augustin. "Politische Freiheit bedeutet für die kommunistische Regierung Chaos, das Ende des Kommunismus in der Sowjetunion und auf dem Balkan wird immer wieder als Argument vorgebracht", definiert Pater Weber gleichsam negativ diesen fragilen politischen Rahmen, innerhalb dessen die fünf anerkannten Religionen in China agieren können. So vermeidet es etwa auch der chinesische Priester Peter Du tunlichst, die Frage, ob er mit seiner theologischen Ausbildung in Deutschland zu einer Art katholischen Elite in China avanciere, mit "Ja" zu beantworten. Das würde schon die Führungsrolle der chinesischen Kommunisten in Frage stellen, fürchtet er. "Die chinesische Regierung sieht sich als einzige, letzte Instanz für alle Angelegenheiten zuständig." Dagegen studiert Schwester Angelina Chang Medizin - und das weist die Richtung, in der die Christen in China sich betätigen können: Im sozialen Bereich. Hier tut sich dann den chinesischen katholischen Diözesen ein zusehends weiter werdendes Feld der Betätigung auf. Kleine Krankenstationen, Versorgung von Aids- und Leprakranken, Aidsprävention, Arbeit mit Behinderten, Alten, Waisen, mit psychisch Angeschlagenen, oder die Arbeit in Kindergärten, dies alles lässt der chinesische Staat Kirchen machen, weil das den Menschen dient und den Staat entlastet, und damit auch die Ordnung und Stabilität in China erhalten hilft. Was Pater Weber wiederum hoffen lässt: "Wenn der chinesische Staat endlich begreift, dass das christliche Menschenbild hilft, in einem Staat für Ordnung zu sorgen, dann kann sich langfristig im Verhältnis etwas ändern." Dass das Buch "Einführung in das Christentum" des vormaligen Theologieprofessors Joseph Ratzinger und heutigen Papstes Benedikt XVI. in chinesischer Übersetzung auf dem Tisch im China-Zentrum St. Augustin liegt, mag ein weiteres Zeichen der Hoffnung sein. Denn der intellektuelle Dialog zwischen Christentum und China ist neben der sozialen Arbeit ein weiteres Betätigungsfeld, auf dem sich jenseits und abseits der lauten Tagespolitik leise, geduldig und langfristig die Situation der Christen in China verbessern lässt. "Das Interesse an Religion im akademischen Bereich ist in China sehr groß, da werden Theologen wie Ratzinger, Rahner, Küng oder Moltmann sehr intensiv gelesen, die in staatlichen Verlagen übersetzt sind, nicht aus Glaubensinteresse, sondern aus der rein wissenschaftlichen Ambition heraus, zu erforschen, was dran ist am Christentum", berichtet Pater Weber. Ob dann die chinesischen Akademiker auch fein säuberlich wissenschaftlich trennen, zwischen dem, was sie lesen, und dem, was es vielleicht doch in ihren Herzen bewegt, darüber schweigt Pater Weber vornehm. Ganz im Stile des China-Zentrums, dessen Arbeit keine schnellen Schlagzeilen produziert, sondern Stückchen für Stückchen unspektakulär im Alltag hilft, christliches Denken in China zu inkulturieren und in Deutschland Verständnis für chinesische Verhältnisse zu schaffen. Was dann passiert, dass weiß nur, was ganz unpathetisch gemeint ist, der Heilige Geist.Autor: VON JOHANNES SEIBEL |
| #64 eeeeeHomepage27.05.2005 - 15:28 |
| http://www.gnomiz.it/forum2/forum113.htm Enigmatic Martini makes bold ecumenical moves. (Cardinal Carlo Maria Martini) National Catholic Reporter; October 15, 1993; Hebblethwaite, Peter Hebblethwaite, Peter National Catholic Reporter October 15, 1993 OXFORD, England - Next year in Jerusalem!\ was the cry at the end of an interfaith meeting at the Catholic University of Milan last month. The invitation came from Jerusalem\s Ashkenazy chief rabbi, Israel Meir Lau. Later Rabbi Meir Lau met Pope John Paul II in Rome and invited him, too. But, he reported, "the pope just smiled and said the time of the visit was drawing near.\ His hosts in Milan were more forthcoming. They will be in Jerusalem next year: Cardinal Carlo Maria Martini archbishop of Milan, who wearies of being tipped as John Paul\s successor, and the Rome-based Sant\Egidio Community. The Sant\Egidio Community is a lay organization that grew out of a modest Catholic Worker-type soup kitchen in the dolce vita Rome of the 1970s. Its lay leader is Andrea Riccardi, professor of the history of Christianity in Rome University. Its chaplain is Don Matteo Zuppi, a priest famed throughout Italy for his help to immigrants and AIDS |
| #63 fffff27.05.2005 - 15:15 |
| My life with Christ Carlo Maria Martini The Cardinal Archbishop of Milan testifies to the excitement of his personal discovery of Jesus Christ and recounts the stages by which he passed through the test of doubt to a secure faith in him. Cardinal Martini gives thanks for the rationalists and sceptics who forced him to search out the deepest truth. At the age of 70, I have been asked to talk about the figure of Jesus Christ. This I look upon as a challenge, a way of making me think back to what it has meant to me from the beginning, how the adventure of my journey with him has developed, in what stages and in what places, dark or light. I find it hard to speak of the figure of Jesus in the abstract, with detachment. Anyone who approaches him is involved with him. If I stayed on a purely theoretical level, I would feel I was saying what I did not feel and not expressing what I did feel. The way I met him seems better served if I deal with it in a personal way, describing a definite progress during which I came to know him in certain stages at certain times. I will do this by writing a kind of autobiography, as if I were describing a journey, using subjective and objective elements, but without muddling them. The objective elements are historical facts about the life of Jesus; the subjective are part of my own often wearisome progress, through which I have come to know and appraise these facts, to clash with them, to make them a part of my own understanding and the choices of my own life. So I shall speak in the third person and in the first, in the singular or the plural ("I" and "we" ; I shall express something of myself that might be a part of anyone, and describe an adventure that might be symbolic. I hope it will make people reflect or help them to respond.The adventure could be linked to particular stages in life. I will follow the recently published, much-discussed novel Susanna Tamaros Anima Mundi which speaks of three periods in human life: Fire, Earth, Wind the time of growth, the time of choice and the time of arrival; and at the same time I will use freely the revelation to the prophet Elijah on Mount Horeb (1 Kgs. 19: 11-13), where Gods presence showed itself mysteriously in fire, wind, earthquake and the murmur of a soft breeze; and thus I will divide my narrative into five parts. Time of fire, or of fascination My journey started very early, in childhood and early adolescence. It is the story of a boy who knew Jesus in the family, at school, in his various surroundings and was greatly drawn to him, in love with him. The boy knew at once that it was impossible to treat such a figure lightly: either you accept all or you reject all. It was a time of increasing, enthusiastic knowledge: the time of fire. He kept the gospels at hand, astonished by their penetrating words and by the richness of what they said, the strength of the decisions taken, the boldness of the choices made, the coherence of Jesus witness. Everything seemed original, basic, new, unexpected, clear, demanding, simple, accessible, and altogether rich in future promise. Time of earth, or of doubt This early happy period does not last long, however. A second one follows, which we may call the stage of questioning and doubts: the stage of earth. Questions arise, at first scarcely noticeable, then more insistent. Can it really be so? How could we know that the evangelists were telling the truth, that things happened in that way? What is the historical basis for what these books tell us about Jesus? Why are these pages credible? May we not be building up a figure on the fantasies of fanatics in the past? What is said about Jesus may be all very fine, but is it soundly based? The boy then decides to read whatever he can find about the historical basis of the figure of Jesus. He delves into libraries and listens to anyone who seems to know more. Yet there is always a certain dissatisfaction, a certain disappointment. The answers he is given prompt new questions, and he has a feeling that those who answer them do so in a rather glib way, as if to avoid a boys importunate demands, or else they are trying to defend something that has already been decided, about which they have already made up their minds. The rather hackneyed answers do not entirely satisfy him. Time of wind, or of rage Then comes the time of rage, the time of the wind mentioned in the Book of Kings: "A great and strong wind rent the mountains, and broke in pieces the rocks" (1 Kgs. 19:11). In my case it was around the age of 25 when my longing to discover the truth about Jesus coincided providentially, because both time and place were right with the chance to study the origins of Christianity scientifically and in depth. I studied the languages in which the books of the Bible were written (Hebrew, Aramaic, Greek), I became familiar with papyri and ancient codices, and learnt about archaeology and the cultures in which the events of the gospels occurred. The work seemed endless. I never paused, and it took a strong will, like that of the strong wind in the Book of Kings, not to quail before the sheer quantity of facts. But the effort was worth it, because from what I call the time of rage and the fierce wind, I have obtained many ideas and the ability to ascertain a great many things and find a great many answers. The adventure was not yet over, though. Time of earthquake, or of trial The third period had allowed me to see many ancient texts through which I could consider more carefully and scientifically what could be said about Jesus. My searches continue even though I no longer have time to consider them closely. Today we are better able than people were in the past to recognise the authenticity of the gospels. The time of rage had to be followed by a period of testing and questions. Jesus words to Peter came to mind: "Simon, Simon, behold, Satan demanded to have you, that he might sift you like wheat" (Lk. 22:31). This sifting is not accidental, it is providential. According to the Book of Kings, still on the subject of Elijah, "after the wind an earthquake" (1 Kgs. 19:11). This is the time when faith is shaken and put to the test. I was sifted and put to the test in the following way: studying ancient sources and evidence of Jesus also involved studying ancient and modern interpretations of him, above all those from 1700 until today, that is from the beginning of historical criticism, the Enlightenment and historical positivism until our own time. I set about reading all the books, all the interpretations, devouring them, scrutinising them, weighing them up. I wanted to see who was right. Such labours often plunge people into a dark night of the soul: will there ever be a way out of this tunnel of critical doubt, out of the systematic questioning of all the facts? All the same I want to express my thanks, my gratitude, to all the most distinguished and demanding supporters of critical rationalism, to all the "masters of suspicion" of the last century and this one, for having put me into direct touch with all the possible objections to the figure of Jesus, even the most extreme: the hypothesis that he may have had no historical existence, the denial of various things in the gospel narratives, the idea that it would be impossible to write a life of Jesus today, the criticism of the supposed reconstruction of his words and actions, doubts on fundamental points of his life, and the rest. For me, the fact of not avoiding any critical challenge was most fruitful and stimulating; so was allowing myself to be questioned by all the attempts to make Jesus into a mythical or imaginary being, or else to call him the product of subsequent backward-looking ideas. Systematically, cruelly, and at the same time healthily, I laid myself open to doubt, defenceless in my search for the truth. It was like seeking continuously to keep ones balance on ground shaken by an earthquake. Apart from the metaphorical, the fundamental question I had to answer was this: were these words, these events and these attitudes in the life of Jesus original, his own, or were they the result of some retrospective elaboration put about by enthusiastic or fanatical admirers or followers, or else the product of the creative efforts of the early Christian communities? And if we must admit, as we cannot fail to, that the early communities had first an oral and then a written tradition in handing on the words and deeds of Jesus, how far is it still possible to know what Jesus really wished, said and did? Little by little I had a surprising experience: the feeling of uncertainty, puzzlement and unease I was left with when I considered the official defence of the historical reality of Jesus, and the easy answers of so many of its supporters, disappeared when I gradually came to feel sure in the face of the massed opposition of the critics. Trying to weigh up the opposing arguments one by one and comparing them with the texts and with ancient discoveries, I came to see more and more clearly that we cannot avoid the solid basis for what we can know about Jesus, that we cannot reduce his figure to something faded or inaccessible without contradicting ourselves or the ideas that come out of serious research. In other words, I was feeling that an approach to the ancient sources of knowledge about Jesus could not, without contradicting its scientific ideas, fail to admit that there were significant and decisive sayings and events in his life which could not be eliminated by any criticism, however corrosive it was, or be attributed to the inventiveness of later communities. Either one had to give up, explain the data as they were and stop looking, or else admit that from them the basis of an important number of facts, words and actions of Jesus emerges which is more than enough to move us to the depths of our being. To me, discovering all this in my daily work, and in my efforts to take every possible objection seriously, was of the greatest possible help. Time of the soft breeze, or of the struggle There was a time of loving, a time of doubt and questioning, a time of rage and a time of testing; to these we must add the time when we struggle with Jesus, a struggle which is never-ending. It is rather like the struggle of Jacob by the ford of the Jabbok at night, when "a man wrestled with him until the breaking of the day" (Gen. 32:24). It is a struggle against someone who is stronger, who never gives up the fight, and the dawn of full, unveiled knowledge has not yet come. In spite of being sure that we are grasping a solid reality because we are both held by it, and holding it it is still night-time. It is rather like the experience of Elijah, who after the wind, the earthquake and the fire, heard what seemed like a faint whisper, a small murmur, and covered his face with his cloak: "And after the fire a still small voice. And when Elijah heard it, he wrapped his face in his mantle and went out and stood at the entrance of the cave. And behold, there came a voice to him, and said, What are you doing here, Elijah?" (1 Kgs. 19:12). Going beyond metaphor, I mean to say that the historical knowledge of Jesus is not confined to itself, but ends in a question: Are you prepared to believe in what I say as words that come from God? Are you ready to recognise my mission as a mission that comes from the Father in Heaven? Are you ready to believe entirely and deeply in me, like Peter when he says: "You are the Christ, the Son of the living God" (Mt. 16:16)? This is the fifth stage, the one in which we can just hear the murmur of a light breeze, the stage when we have knowledge of faith. This involves a leap which no historical research can make us take, a step which all of us must answer within ourselves, to our own conscience; a step which sets us not before the figure of Jesus, but before the mystery of Jesus, his unique relationship with the Father, his transcendence, his meaning for the history of everyone and of the whole of humanity and his capacity to reveal the face of God. Many new, even harder, questions then arise: why did someone whom we think so near to God, beloved by God, suffer such a cruel fate in his own life? Why did he seem, humanly speaking, defeated? Why did he appear so weak and helpless? There is, then, a final step in our understanding of Jesus for which the name of Jesus alone is not enough. That is the time of the understanding of faith, which means further questions and an unending search to link the human defeat of Jesus of Nazareth with his intimate closeness to God; the Cross and his death with his divinity. The scope of these questions widens to include all human experience of pain and death, the meaning of what seems to have no meaning, why God revealed himself not in power and glory but, as Luther incisively put it, sub contraria specie, in the very opposite of what one might think of as God. And there is yet another new fact, another surprise. When we consider the mystery of God crucified and Gods weakness, seeing these in Jesus crucified and risen, then the words and actions of Jesus, the parables, the beatitudes, the miracles and cures, the teaching of forgiveness, and his being tortured to death take on a new meaning. Reading the gospels again, one finds in them (and between them and the rest of Scripture) a profound coherence, an unexpected richness of meaning. Everything is linked again in a new understanding of Jesus, which makes it enter the pith of our living experience as weak creatures seeking a hope that will not disappoint us. It is this mysterious, enticing journey which I should wish for everyone. Æ Translated from the Italian by Isabel Quigly. One of a series of addresses by different cardinals given in the diocese of Rome and organised by Cardinal Ruini, in preparation for the millennium. |
| #62 rrrrrrrr27.05.2005 - 14:36 |
| Welcome the Stranger CARLO MARIA MARTINI SJ In January 2001 Cardinal Carlo Maria Martini SJ of Milan gave a paper at a conference at which participants explored the Christian message concerning hospitality to refugees and migrants. Cardinal Martini spoke of the resources we can find in the bible that will assist us to move beyond reactions of fear and other emotions in the face of foreigners. What follows is an abbreviated account of what he had to say. The complete original text is found at www.diocesi.milano.it. THE STRANGER presents himself and herself in the Bible as the stranger at a distance (zar), the passing stranger (nokri), and the stranger who resides in our midst (gher or tosher). The distant stranger was at first looked upon as an enemy to be feared, but that attitude changed with the experience of the Babylonian exile. Living as they were in the midst of strangers, the people gained a clearer perception of their own election as Gods own people and of how much he loved them. This awareness aroused in them a sense of mission to strangers as they saw themselves called to be a light to illumine the nations. In this way fear was replaced by a sense of mission. Strangers passing by did not inspire fear; rather, they aroused a sense of obligation to be hospitable and to welcome the foreigner with respect. Passing strangers were treated as guests. Abrahams welcome of the three travellers is typical. The Bedouin still show the same hospitality and respect for the stranger. Strangers and foreigners residing in the midst of the people were given legal protection, warm reception and good treatmentthey were taken into the community. The historical reason for such hospitality had been their own experience as migrants: they had been wandering strangers themselves. Besides, they were commanded to be understanding and kind to the stranger, to love the stranger. To love the stranger was to imitate God, since God loves all the vulnerableorphans, widows, foreigners. In the New Testament we find a marked development in teaching concerning the welcome due to strangers. We can identify three motives for this advance: a Christological motive, a charismatic motive and an eschatological motive. The Christological motive is found in Matthew 25, in the scene of the Last Judgment, when Jesus proclaims that the person who welcomes the stranger welcomes himself: I was a stranger and you made me welcome insofar as you did this to one of the least of these brothers of mine, you did it to me. Welcoming the stranger is not just a simple good work which God will repayit is an occasion of living a personal relationship with Jesus. The charismatic motive is founded on the primacy of love. Set your mind on the higher gifts, St Paul teaches (1Cor 12:31); and he stated that love is the greatest gift (1Cor 13). Welcoming the stranger is an act of love, and love is the fundamental law for a Christian. Love your neighbour as yourself, Jesus said to the man who asked him which is the first commandment (Mk 12.31). And in Mth 7:12 Jesus summed up the law and the prophets in the so-called golden rule: Always treat others as you would like them to treat you. Love, the gift that is higher than all the others is given to all, including the stranger as the parable of the good Samaritan teaches. This man, considered a stranger by the Hebrews, did not hesitate to render assistance to a wounded Hebrew by the side of the road. He overcame racial and religious barriers and made himself a neighbour to the man in distress (Lk 10:36)he lived the charism of love. The third New Testament motive is eschatological, having to do with the last thingsthe call of humanity to life eternal. In this universal perspective all who believe in Christ are pilgrims and strangers in the world: There is no permanent city for us here; we are looking for the one which is yet to be (Heb 13:14; cf. Heb 11:10-16). As the memory of having been migrants and strangers in Egypt moved the Israelites to show hospitality towards strangers and to have compassion for them and feel a sense of solidarity with those who were undergoing the same experience, so, Christians who feel that they are pilgrims on this earth are invited to understand the sufferings and needs of all who are strangers and pilgrims in their earthly fatherland. A first century Christian described this state of being a pilgrim thus: Christians reside in their respective countries, but only as aliens; they take part in everything as citizens and put up with everything as foreigners. Every foreign land is their home and every home a foreign land. (Epistle to Diognetus). This is not because Christians are unconcerned for the earthly city, rather it is because they know that they are on a journey towards that city that God himself is preparing for us. Clearly, the bible gives us a powerful message, and we know that we are a long way from living that message or even from being capable of living it. The bible makes us understand that the death of Jesus on the cross breaks every barrier and makes us members of one humanity that finds its unity in Christ. The Spirit of the Risen One awakens in every believer the charism of hospitality. We must feel that, driven as we are by the power of the Spirit, we can open ourselves to discover Christ in the stranger who knocks at our door. We have so many motives, human and civil, for welcoming the stranger, motives which perhaps we ponder too little, and which are certainly very demanding and radical. Generosity to refugees and asylum seekers has proven abundantly fruitful not only for Australias good name and for its influence in the worldwide family of nations: the progress of the Australian community itself has gained much. This is not surprising. Refugees and asylum seekers are people of courage, ingenuity, and perseverance: to have survived and found sanctuary at last, is proof of attributes and values which Australians respect and admire - though they are rarely acknowledged in refugees and asylum seekers. |
| #61 ffffffffff27.05.2005 - 14:18 |
| Avvenire Milano 23.6.85 IL SUO APOSTOLATO Affascinante ideale di unite fra corpo e spirito di Carlo Maria Martini Ho davanti a me uno scritto soprattutto quando lo si vuole di mens. Josemaria Escrivá realizzare nel mezzo delle de Balaguer. preoccupazioni quotidiane, servendosi senza schizzinosi tà dei mezzi e delle cose di questo mondo per un fine apostolico. Trovo scritto in un\altra omelia dello stesso autore: "E\ in mezzo alle cose più naturali della terra che ci dobbiamo santificare servendo Dio egli uomini... A quegli universitari e a quegli operai . che mi seguivano vèrso gli anni Trenta io solevo dire che dovevano saper `materializzare\ la vita spirituale". Un ideale di unità affascinante tra corpo e spirito. Ma nel raggiungerlo e tenerlo già tutte note e tuttavia effi- vivo, quante tentazioni sono in agguato, quanti frainten caria, sostanza, incisività. dimenti sono possibili! E so Vorrei poter penetrare di prattutto quanto nuovo dispiù nel segreto di quest\api- cernimento.è oggi necessario ma, la cui fecondità spiritua- per vivere la verità del prole ha dell\incredibile: Capisco prio quotidiano in una sociedi trovarmi davanti a una di tà frammentata, dove le eviquelle zone di rispetto della dente etiche si offuscano nelsfera spirituale, in cui le ana- la complessità e nell\anonilisi troppo minute o preten mato-dei rapporti sociali! ziose possono rivelarsi delu- Ma su tutto questo sevra denti. stano le certezze della fede, le Nell\omelia che ho davanti, parole rassicuranti del Magiche è sul sacerdozio,. vèngnno stero, le promesse evangelicitati spesso i li bri della che per i miti di cuore. Occur= Scrittura e i documenti della re $ penetrare ancora di più Chiesa. Intravvedo al di là in questo segreto, pur senza delle citazioni e delle sempli- viólárlo: cogliere i contorni ci applicazioni, uno sguardo frastagliati; il dinamismo insemplice, un bisogno di chia- atteso, la creatività sorpr_enrezza e di ordine, un tendere d te all\efficacia quotidiana. \ Ci aiutino i seguaci di. Chi scrive e parla così mens. Escrivá a non irrigiesprime per sè e per gli altri dirne il carisma in una visiouna santità sincera, gepuina, ne statica, ma a coglierne senza fronzoli, capace di ab- .l\intimo sforzo di adattarsi a negazione e nascondimento. tempi e culture nuove per Non vuole distinzioni o privi- presentare a tutti l\unico e legi, se non quello di servire. , identico Signore. Ideale semplice ma arduo, * Arcivescovo di Milano E\ una omelia pronunciata circa venti anni fa. Mi colpisce lo stile semplice, immediato. Nessuna ricerca,retoriça, ma dati, fatti, riflessionii apparentemente ovvie, cui la stessa semplicità conferisce vigore. Vale qui l\esempio che l\autore di questa omelia richiama per invitare il prete a celebrare senza fretta. "Gli innamorati hanno forse fretta di salutarsi dopo un incontro? Sembra che si lascino; ma non se ne vanno, ritornano una volta e un\altra e si dicono parole comuni come . se lee scoprissero solo allora". Anche qui: parole comuni, Maggiore collegialità e, in prospettiva, un nuovo Concilio Terminato il Giubileo, il Card. Martini rilancia le sue proposte, intervista al "Corriere" del 13 gennaio Larcivescovo di Milano propone più collegialità e un ampio confronto. Sul rapporto con gli ebrei: la via è quella tracciata dalla visita del Papa al Muro del Pianto "Io, la Chiesa e il sogno di un nuovo Concilio" Il cardinale Martini: "Neutrali in politica? No, le scelte dei cristiani ci interessano" MILANO - Il cardinale Martini difende il Giubileo dallaccusa di trionfalismo e rilancia il suo "sogno" di un "sempre maggiore esercizio della collegialità nella Chiesa": dice di aver letto "con molta gioia" le pagine della lettera postgiubilare del Papa che esprimono un analogo auspicio. Non si tratta - precisa larcivescovo di Milano - di "attendere a breve un Vaticano III", ma di utilizzare da subito "altre forme concrete di collegialità", senza escludere - sui tempi lunghi - "lipotesi ardua ma non impensabile" di un nuovo Concilio generale, dopo quello convocato da Giovanni XXIII (lannuncio nel 1959, lapertura nel 62). Quanto al dibattito sui grandi temi etici e alla campagna elettorale, il cardinale afferma che la Chiesa non è "animata da volontà di dominio" e non vuol percorrere la via della "condanna", ma "educa ai grandi valori in modo che ogni cristiano possa orientarsi da solo". Il Giubileo ha incoraggiato i credenti, ma pare abbia spaventato i non credenti, o almeno alcuni, che hanno parlato di trionfalismo. Come reagisce a questa accusa? "La taccia di trionfalismo non si addice al Giubileo. Non si addice certo al Giubileo inteso come grandi gesti del Papa, quali la richiesta di perdono e la preghiera al Muro del Pianto, che anzi sono confessioni di peccato. Non si addice neanche ai grandi eventi, intesi come pellegrinaggi di categoria - dai giovani alle famiglie, ai disabili - se non forse per lenfasi mediatica, cui qualche volta hanno dato luogo: solo in essa si è potuto avvertire un rischio trionfalistico, ma il cammino spirituale e culturale ha sempre contrassegnato questi pellegrinaggi. Cè poi una dimensione decentrata del Giubileo, con le celebrazioni parrocchiali, zonali e i pellegrinaggi alle chiese giubilari - a Milano ne avevamo 23 - che è stata molto intensa e partecipata, ma non ha avuto nessuna risonanza mediatica e perciò non è andata mai a rischio di trionfalismo. Cè infine una dimensione personale, la più diffusa e silenziosa: quella dei cammini dei singoli. Parlare di trionfalismo in generale mi pare dunque inappropriato. Del resto anche lenfasi dei media può aver avuto un suo significato". Nella lettera apostolica "Novo millennio ineunte", il Papa dice che bisognerebbe fare "un grande sforzo" per spiegare ai non credenti che la Chiesa non è mossa da volontà di dominio, quando si pronuncia sulla vita e sulle biotecnologie. Di che tipo dovrebbe essere questo sforzo? "Io sento fortemente quello che il Papa suggerisce: che cioè le nostre opzioni, che hanno a che fare con la dignità umana e con il bene della società, noi le dovremmo sempre proporre con argomenti razionali e convincenti, senza limitarci a dire che quella è la dottrina della Chiesa. Si tratta di uno sforzo comunicativo, che dovrebbe riuscire efficace con chiunque coltivi una sana antropologia. Vi è poi uno sforzo più grande da compiere, per sgombrare la nostra parola da ogni sospetto di dominio: consiste nel vivere il Vangelo, che comporta atteggiamenti di semplicità, umiltà e misericordia dei quali nessuno dovrebbe avere paura". Chi teme la volontà di dominio della Chiesa, fa riferimento ad atteggiamenti di condanna da parte di suoi rappresentanti... "La sola condanna non è sufficiente e può anche essere controproducente. Si tratta di proporre, anche con insistenza, nel confronto aperto proprio di una società complessa, gli elementi di una civiltà, di una cultura, di una tradizione. Ma si tratta di proporli per le ragioni di validità che essi presentano, rese per quanto possibile accessibili e accettabili, in modo di aiutare la comprensione di chi pensa diversamente, senza che si senta condannato". Sempre nella lettera apostolica, il Papa promette uno sviluppo degli strumenti della collegialità. Non è, in sostanza, lo stesso che "sognava" lei allultimo Sinodo? "Ho letto con molta gioia le pagine in cui il Santo Padre parla della spiritualità di comunione. Egli fa notare, molto opportunamente, che non si tratta solo di adeguare gli strumenti esteriori della partecipazione e della collegialità, ma di una crescita di tutti nello spirito di comunione. La sua sollecitazione corrisponde anche un poco a uno dei miei tre "sogni" dellultimo Sinodo, quando auspicavo un sempre maggiore esercizio della collegialità nella Chiesa". Ma lei - allora - aveva inteso o no proporre un nuovo Concilio, come era sembrato a noi cronisti del Sinodo? "Non avevo affatto escluso un nuovo Concilio. Ritengo però che la formula che talora si è usata, per interpretare il mio pensiero, come si trattasse di attendere a breve un Vaticano III, sia impropria e confondente. Perché cè stato un Vaticano II che è stato un Concilio su ogni argomento e certo un Concilio così non è da ripetersi facilmente nella storia della Chiesa. Ma ci sono, nella storia della Chiesa, problemi emergenti sui quali è bene ascoltarsi in ambiti collegiali che siano i più ampi possibili. Quindi non escludo che vi possa essere un Concilio ecumenico per il terzo millennio, quando sarà il tempo, quando il Papa vorrà convocarlo. Ma osservo che intanto si potrebbero utilizzare tante altre forme concrete di collegialità, che in parte ci sono già, ma che in parte anche il Papa auspica vengano ulteriormente sviluppate". Cè chi obietta che le dimensioni attuali dellepiscopato mondiale rendono quasi impraticabile un Concilio universale... "Il Concilio è previsto dal Diritto canonico come possibilità permanente per la vita della Chiesa e non può certo essere cancellato per difficoltà organizzative. Del resto con i mezzi di comunicazione e di trasporto di cui oggi si dispone, ogni difficoltà può essere appianata. Il numero dei vescovi è aumentato anche per la presenza dei vescovi emeriti, che prima non cerano. Bisognerà trovare forme nuove, per esempio facendo precedere la convocazione plenaria da convocazioni regionali. Altra complessità viene dal bisogno di tenere presente il mondo ortodosso e quello protestante, con i tempi che ciò può comportare. Un Concilio ecumenico è unipotesi ardua certo, ma non impensabile". Lei che pensa tanto a Gerusalemme, che dice della tragedia quotidiana in cui è riprecipitata la Terra Santa? "Il fuoco covava sempre sotto la cenere e dunque non ci si può stupire che la fiamma si sia ravvivata. Quello è un luogo dove bisogna ricominciare la pace continuamente e continuamente rilanciare propositi e proposte di pace, perché è evidente per tutti che lattuale situazione di conflitto limitato non può durare: o viene sanata, o è destinata a degenerare". Anche il dialogo ebraico-cattolico sembra battere il passo, dopo la visita del Papa al Muro del Pianto... "La visita al Muro e al Memoriale Yad Vashem ha chiarito agli ebrei quanto il Papa li ami e quanto egli sia una persona umile, che è andata a loro in atteggiamento di preghiera. Questa chiarificazione ha colpito tanti e costituisce un grande aiuto al dialogo. Essa ci insegna che dovrà essere sempre quello latteggiamento con cui andare al dialogo. Cè stata poi la dichiarazione "Dominus Jesus" ( pubblicata il 5 settembre e firmata dal cardinale Ratzinger, ndr ) che ha creato qualche disagio, ma credo che a poco a poco le cose saranno chiarite e risulterà evidente che la volontà di dialogo della Chiesa resta intatta". Qualche disagio, o qualcosa di più? "Quel documento non è stato ben ricevuto, purtroppo. Si poteva certamente fare uno sforzo maggiore di linguaggio e di spiegazione, perché di per sé non conteneva nulla di nuovo rispetto al Vaticano II. E dunque credo che ci voglia pazienza per favorirne la corretta interpretazione nel quadro di documenti più vasti, quali lenciclica "Ut unum sint"". Siamo ormai in campagna elettorale e tanti chiedono alla Chiesa di restare neutrale: ci riuscirà? "Non amo il termine "neutrale", come se non ci interessasse la scelta che viene compiuta! Soprattutto ci interessa che i cristiani sappiano scegliere e mi spiego con questo paragone. Poniamo che una persona abbia - per malattia - difficoltà a distinguere i cibi buoni da quelli meno buoni. Possiamo aiutarla proponendole un elenco dei cibi cui attenersi, o possiamo curarne il gusto, in modo che possa distinguerli da sola. Ecco il punto: la Chiesa educa ai grandi valori, anche sociali e di convivenza, in modo che ognuno possa orientarsi. Non riteniamo utile fare degli elenchi prescrittivi, o proscrittivi. Limportante - in definitiva - è che il cristiano sia in grado di decidere in proprio, avendo presente la dottrina sociale della Chiesa". Nel dibattito politico quotidiano, cè qualcosa che la preoccupa? "La denigrazione delle persone e la polemica di superficie, che tendono a prendere il posto del dibattito sui programmi". Luigi Accattoli ( Corriere della sera, 13 gennaio 2001 ) |
| #60 http://www.20six.de/Elisabeth/weblogCategory/110ijez08dy24Homepage26.05.2005 - 23:48 |
| http://www.20six.de/Elisabeth/weblogCategory/110ijez08dy24 |
| #59 kkk26.05.2005 - 22:53 |
| Auferstehung Die Auferstehung Jesu Christi offenbart uns den Sinn der ganzen Menschheitsgeschichte und all dessen,was wir Tag für Tag erleben  ffenbar wird dieser Sinn in dem Wort der Hoffnung,das Petrus in der Apostelgeschichte berichteten Pfingstpredigt verkündet.".....denn es war unmöglich,daß er vom Tod festgehalten wurde"(Apg2,24).Diese Aussage ist erstaunlich:Warum sollte dies unmöglich gewesen sein?Bedauerlicherweise haben wir uns daran gewöhnt,daß der Tod nicht nur möglich,sondern geradezu unvermeidlich ist,zusammen mit all dem ,was zum Tod dazugehört:Trauer ,Hass,Krieg,Zerstörung.Aber in der Predigt des Petrus heißt es,daß das Geheimnis Gottes im auferstandenen Christus der Sieg über den Tod ist und über alles,war er für unser Leben an Trauer mit sich bringt. Die Auferstehung Jesu Christi offenbart,worauf die Wirklichkeit des Menschen ausgerichtet ist  er Mensch ist auf das Leben ausgerichtet und darauf,daß seine Freiheit in jedem von uns ihren vollen Ausdruck findet.Die Auferstehung Jesu Christi stellt unsere Freiheit wieder her,heilt sie von ihren Illusionen und lenkt sie in der Geschichte auf das wahre Ziel.Sie setzt uns imstand,mit der Liebe Gottes,der allem das Leben schenkt,mitzuwirken.So warten wir ergeben und tatkräftig auf jene Auferstehung aller Menschen und der ganzen Schöpfung,die mit der Auferstehung Jesu Christi schon begonnen hat,aber ihre Vollendung und leuchtende Manifestation erst findet,wann und wie der Vater es will. Armut Die Armut des Christen verwirklicht sich nicht in Gesten und Hoffnungen,sie wird vielmehr von den Werten des Reiches Gottes bestimmt,deren Ausdruck sie ist.Unterscheidungskriterium unserer Armen ist das Leben Christi,seine"würdevolle Armut und Einfachheit"während seines öffentlichen Wirkens und seiner Hingabebereitschaft. Wir leben in einer widersprüchlichen Gesellschaft.Auf der einen Seite produziert sie geradezu immer von neuem Arme,Randständige und Verlierer,treibt Menschen in die Verlassenheit und Verzweifelung.Christliche Armut leben heißt in dieser Situation,für diese unsere Brüder und Schwestern zum lebendigen Zeichen der Solidarität und der Hilfe zu werden. Andererseits leben wir in einer Gesellschaft des Überflusses,ausgesetzt den Gefahren des Wohlstandes sowie den Risiken und Attraktionen des Konsuminismus.In dieser Gesellschaft muß unser Armsein eine ander Gestalt annehmen.Unsere Armut muß sich von dieser Welt unterscheiden,zur Kritik an der Welt werden,die uns umgibt,sie muß zum Zeichen einer anderen Wertschätzung von Personen und Gütern werden. Die Erfahrung zeigt,daß der Weg der Armut zugleich ein Weg der Befreiung,der Freude und der Begeisterung ist;diese Erfahrungen verbindet uns aufs engste mit Christus,sie läßt uns auf unhervorgesehene Weise die Kraft des Kreuzes erfahren,die auch in völlig festgefahrenen Situationen Erneuerungen möglich werden läßt. Wer ein wenig von dieser Freude erlebt,wer Aufmerksamkeit übt und sich einlässt auf ein Leben in Schlichtheit,Bußgesinnung und Entsagung,der entdeckt in diesen Augenblick die Seiten des Evangeliums ganz neu.Ohne diese Bemühungen bleiben sie stumm.Wer aber einen Schritt in diese Richtung geht,für den werden die Worte Jesu aktuell.Sie beginnen zu klingen und gewinnen Gewicht und Bedeutung .Wir spüren dann ,daß wir etwas von der Freude der Zwölf erleben,die in der Nachfolge Jesu über die Straßen Palestinas gewandert sind:"Meister,wir haben alles verlassen und sind dir nachgefolgt." Arbeit Wie soziologische Untersuchungen bestätigen,greifen in unserer Gesellschaft - vor allem unter jungen Menschen - Formen der Abneigung gegenüber der Arbeit immer mehr um sich.Es handelt sich um ein Faktum, das eine umsichtige Interpretation verlangt.In den meisten Fällen handelt es sich nicht um eine Ablehnung der Arbeit als solcher,sondern einer bestimmten Form von Arbeit,der Arbeit nämlich,der sich kein vernünftiger Sinn abgewinnen läßt. Die Zurückweisung enthält implizit die Forderung,die beträchtliche Zeit unseres Lebens,die wir mit Arbeit verbringen,solle "qualitativ" zufriedenstellend sein,die Arbeitszeit solle unter Bedingungen stehen,die den Einsatz des Lebens rechtfertigen.Es handelt sich also um eine ethische Forderung,sofern man unter Ethik das versteht,was mit der Begründung eines Lebensstiles und der konkreten Formen seiner Umsetzung zu tun hat. Es gibt viele Hinweise,die diese Interpretationen bestätigen,zum Beispiel das verbreiteteInteresse für das Freiwillige Soziale Jahr :Es handelt sich dabei um eine Arbeit,bei der Bezahlung,Sozialprestige und materielle Sicherheit hinter Motivation zurückstehen,die nicht nur postmaterialistisch,sondern spezifisch ethisch sind wie Solidarität mit den Schwachen,mit den Pechvögeln,mit den Wehrlosen . "Wer sein Leben retten will,wird es verlieren;wer aber sein Leben um meinetwillen verliert,wird es retten"(Mk8,35)Diese Worte sind,bevor sie noch im Evangelium schriftlich festgehalten wurden,gewissermaßen in das Herz eines jeden Menschen eingeschrieben. Es mag paradox erscheinen,aber-daran erinnern die Worte des Evangeliums,und sie werden durch die Erfahrung laufend bestätigt-der Mensch findet sich selbst,wenn er sich selbst vergisst.Es gelingt ihm nur dann,die ihn bedrängende Unruhe und die Angst zu überwinden,wenn er Grund und Rechtfertigung für seine Entscheidungen außerhalb seiner selbst und eben nicht im ausschließlichen Verfolgen des eigenen Vorteils sucht. Wo das Leben in der Hilfe und im Dienst am Nächsten großmütig hingegeben wird und damit anscheinend verloren ist,wird es gewonnen. Es ist dies das höchste ethische Kriterium,das auch für die Beurteilung der "Qualität" des Lebens des einzelnen und der Gemeinschaft gilt. Einen entscheidenden Beitrag zu dieser Lebensqualität liefert heute,im guten wie im schlechten,die Arbeit. Annahme "Brüder,nehmt einander an,wie auch Christus uns angenommen hat"(Röm15,7).Der Ausdruck "einander annehmen"bezieht sich hier auf zwei Gruppen in der römischen Christengemeinde,an die Paulus seinen Brief aus der Anfangszeit des Christentums schreibt.Sie unterscheiden sich voneinander und stehen in bestimmter Hinsicht zueinander im Gegensatz ie"Hebräer" und die "Heiden",das heißt Christen,die aus dem Judentum,und Christen,die aus dem Heidentum kommen.Die Ermahnung schließt die Ausführungen über das Hauptthema des langen Briefes an die Römer ab:Wenn der Mensch gerettet ist durch den Glauben an Jesus Christus,dann gibt es zwischen den ethnischen oder rassistischen Gruppen in der Kirche,in der Geschichte und in der Welt keinen Unterschied mehr,dann sind sie gleichermaßen gerettet,und sie müssen sich alle gegenseitig annehmen. Was sagte diese vor 1900 Jahren geschriebene Ermahnung uns heute?Was sagt sie unserer Welt,was bedeutet sie in unserer historischen,politischen und gesellschaftlichen Situation? Sie sagt nichts anders als damals:Wir sollen einander annehmen,wie auch Christus uns angenommen hat. Damals ging es um Hebräer und Heiden,Juden und Heidenchristen.Heute geht es um Hebräer und Nichthebräer,Juden und Araber,Christen und Muslime.Wir alle sind von Gott angenommen und geliebt.Jenseits aller Verschiedenheit gibt es die barmherzige Liebe Gottes für die einen wie die anderen. Sicher muß jeder den Weg seiner Religion gehen,jeder muß den Sinn des Geheimnisses Gottes immer tiefer zu begreifen versuchen,und wir müssen um Einsicht in das Geheimnis Christi ringen.Wichtig ist aber vor allem:Am Anfang steht eine barmherzige Liebe,die uns drängt,uns antreibt und uns verpflichtet,einander anzunehmen,mit einander zu sprechen und einander zu lieben. ANGST Wenn wir uns umschauen und fragen ,unter welchen Übeln die Gesellschaft Europas heute vor allem leidet ,werden wir feststellen:es sind Angst und Furcht.In Ländern, wo ethnische Gruppen mit unmenschlicher Grausamkeit einander bis aufs Blut bekämpfen,ist es die Angst,die Heimat zu verlieren(denken wir nur an das schreckliche Drama im früheren Jugoslawien).In manchen Ländern herrscht Angst um den eigenen Wohlstand(denken wir an die rassistischen Krawalle in Deutschland )oder(zum Beispiel in Italien)die Angst,der wirtschaftliche Aufschwung könnte dadurch gefährdet werden,daß das Staatsschiff ins schlingern gerät. Was ist von diesem vorherrschendem Gefühl der Angst,die früher oder später jeden überkommt,zu halten? Es ist eine Angst,die wir nicht ohne weiteres gänzlich loswerden können,weil sie etwas mit der Freiheit der Menschen zu tun hat.Wird die Freiheit absolut gesetzt,gibt es keine Ordnung und keine Prioritäten mehr,alles wird unsicher und ungewiß,alles fällt auf meine Schultern und erdrückt mich,ich kann mich auf niemanden mehr verlassen.Es ist die Verzweifelung der absolut gesetzten Freiheit,die kein Fundament und keinen Bezugpunkt mehr hat. In dieser Situation kann ein Gedanke des hl.Ignatius weiterhelfen:Wenn ich nach einem Fundament für diese Freiheit suche,wenn ich beginne,mich mit meiner Angst auseinanderzusetzen und auszuhalten,dann beginne ich die Angst zu überwinden.Ich erfahre,daß das Fundament meiner Freiheit Gott ist,der mich liebt,der mich geschaffen hat,der mich kennt.Er ist es,der mich als Kind angenommen hat,der mich frei macht und mir den Weg weist.Wenn ich in die Zukunft blicke,weiß ich,daß meine Freiheit in der Hand Gottes liegt,der mich ruft und mich führt.Blicke ich auf die Gegenwart,erfahre ich,daß Gott mir die Freiheit schenkt,daß er mich gewissermaßen anfeuert und wünscht,daß ich mich meiner Freiheit bewähre.So wird meine Freiheit eine situierte Freiheit;meine negativen Gefühle der Angst und der Furcht verflüchtigen sich nicht,denn das Leben ist insgesamt hart und beschwerlich,aber Angst und Furcht werden auf das rechte Mass zurückgeführt.Ich weiß wem ich mich anvertrauen kann,auf wen ich mich verlassen kann,auf wen ich mich stützen kann. |
| #58 dddddddHomepage26.05.2005 - 22:51 |
| Barmherzigkeit Der Prophet Jona hält in der Erzählung des gleichnamigen Buches Gott vor, daß er gnädig und barmherzig ist,langmütig und reich an Huld,daß er sich mitleidig stimmen läßt (vergl.Jona 4,2).Gott muß sich gleichsam gegen die Anklage verteidigen,seine Barmherzigkeit sei unverständlich,blind absolut.Aber gerade diese Barmherzigkeit ist das Fundament unseres Leben und unserer Freiheit. Der Mensch kann nur leben und lieben,wenn er sich dann angenomen weiß,wie er ist ,ohne Bedingungen;und fühlt er sich auch frei.Gott liebt uns auf diese Weise.Das einzige Maß seiner maßlosen Liebe ist das Bedürfnis der geliebten Person;der Arme,Unglückliche,der Sünder ,der Verlorene wird sogar mehr geliebt als die anderen. Gott liebt uns wie eine Mutter,die den Sohn liebt,weil er ihr Sohn ist;und wenn er auf Abwege gerät,liebt sie ihn noch mehr,denn sie weiß,daß er sich in dem Maß,wie er geliebt wird,bessern kann. Gott,der uns mehr Vater ist als unser eigener Vater und mehr Mutter als unsere eigene Mutter,der uns im mütterlichen Schoß geformt hat,schaffte aus Barmherzigkeit die Wirklichkeit,die uns umgibt.In seiner Barmherzigkeit sind wir, was wir sind,und unser Elend wird zum Gefäß und zum Maß,nach dem sich seine Barmherzigkeit bemisst. Authentizität Wir sind alle auf der Suche nach der Wahrheit,wir sehnen uns nach der Wahrheit.Wir suchen sie,wir fragen nach ihr,wir verlange nach ihr in jedem Augenblick unseres Lebens.Und wenn ich dieses Suchen übersetzen soll,so übersetze ich es vor allem als Sehnsucht nach Authenzität. Ich wünsche mir, vor dem Herrn und vor euch allen,und jeder von euch wünscht es sicherlich so wie ich,authentisch zu sein.Ich wünsche,heißt das,daß eine Entsprechung zwischen den Worten und der Handlung,zwischen den Versprechungen und Handlungen,zwischen den Versprechungen und den Erfüllungen,eine Entsprechung zwischen dem,was wir mit der Gnade Gottes sein wollen,und dem was wir zu sein versuchen und worum wir uns im täglichen Leben bemühen. Wir sehnen uns nach Wahrheit,wir sehnen uns nach Authenzität,wir wünschen uns,daß alles,was wir sagen und tun - unsere Worte,Gesten und Handlungen - dem entspricht,was der Herr in uns hineinlegt.Es soll keine Abweichungen geben,keinen Abstand,kein Gefälle zwischen dem,was wir denken und was wir leben. Wir sind also alle gemeinsam auf der Suche nach Authenzität.Wir sehen uns danach,wir wollen,daß sie unsere Freundschaft prägt,unsere Gemeinschaft alltäglichen Beziehungen.Wir sind auf der Suche nach einer ganz bestimmten Wahrheit.Ihre Kennzeichen lassen sich mit Bildern ,die ich dem Johannes- evangelium entnehme folgerndermaßen näher umschreiben Herr,ich suche eine Wahrheit,die lebendig ist wie Quellwasser,die schlicht ist wie Brot,klar wie dasLicht,kraftvoll wie das Leben.....(vergl.Joh 4;6) Es entsteht also ganz spontan ein Gebet.Wer wird uns dieses lebendige Wasser geben,das niemals versiegt?Wer gibt uns das schlichte Brot der täglichen Nahrung,von dem wir jeden Tag essen und das wir an die Brüder und Schwestern verteilen können?Wer gibt uns die Klarheit des Lichts,vor dem wir nicht die Augen verschließen müssen?Und wer gibt uns die Kraft des Lebens? Der Herr selbst gibt uns darauf die Antwort und sagt:Ich bin das lebendige Wasser.Ich bin das Brot des Lebens.Ich bin das Licht.Ich bin die Auferstehung und das Leben.Ich bin das lebendige Wasser,das niemals versiegt und das jeden Durst stillt.Ich bin das Wasser,das ewiges Leben schenkt.Ich bin das Brot des Lebens;wer davon ißt,wird nicht sterben.Ich bin das Licht,das in der Finsternis leuchtet,und die Finsternis vermag es nicht zu verhüllen.Ich bin die Auferstehung und das Leben;wer an mich glaubt,wird leben,auch wenn er gestorben ist.Wer in mir lebt und an mich glaubt,wird das ewige Leben haben. Ausländer Unsere Städte bieten oft ein trauriges Bild.Wir spüren die Beunruhigung über die Strömungen im Zusammenleben ,die Beklemmung wegen wachsender Umweltverschmutzung,den Überdruß an der Politik,das Desintresse am Leben.Vor allem,wer krank,schwach und alt ist,findet kaum irgendwo Teilnahme.Und es gibt vielleicht auch eine Übersättigung gegenüber dem "Zuviel" an Vorschlägen,Ablenkungen,Vergn ügungen. Sowohl die Allgemeinheit wie die einzelnen tendierten dazu,sich angesichts all dieser Probleme auf sich selbst zurückzuziehen.Die Irritation und die Unzufriedenheit mit einer Wirklichkeit ,mit der man nicht zurechtkommt,wird auf den "anderen",den Fremden abgewälzt. Doch die Ausländer,die in unsere Städte strömen,sind ein kostbares Zeichen der Zeit,das uns wachrufen und zur Selbstprüfung auffordern sollte.Ihre Anwesenheit ist keine Last,und noch weniger sind die Ursache für einen Verfall,der eine bedrohliche Zukunft erwarten läßt.Sie sind.aufs ganze gesehen,kein Unglück,sie sind eine Chance auch für die Erneuerung unseres eigenen Lebens. Es liegt an uns,ob die Zuwanderung friedlich verläuft oder ob sie zu Konflikten führt.Wenn unsere Beschränktheit und Intoleranz eine noch schlimmere Intoleranz in gesellschaftlicher,politischer und religiöser Hinsicht provozieren,sind Zusammenstöße allerdings vorprogrammiert. Wir müssen uns entscheiden:Entweder werden wir das kulturelle und moralische Erbe unserer abendländischen Tradition,das Werk von Generationen,dem Raub und der Zerstörung aussetzen,oder wir suchen - großherzig und aufnahmebereit - nach Wegen,es in einer gemeinsamen Zukunft mit den Armen und Fremden zu teilen. Es liegt an uns,in der Gnade des hl.Geistes so zu handeln,daß an die Utopie vom Zusammenströmen der Völker im Tal Joschafat (vergl.Joel 4,2.12.14)sich die Herabkunft des Neuen Jerusalem (vergl.Offb 21) anschließt. Augen Das Öffnen der Augen ist der Beginn der wiedergefundenen Brüderlichkeit,der Übergang von einer Feindschaft und dem Misstrauen zum Wiedererkennen des Menschen,des Freundes. Ein schönes Beispiel für wiedergefundenen Brüderlichkeit ist die Szene in der Genesis,in der Josef wiedererkannt wird bzw. sich von seinen Brüdern wiedererkennen läßt.Solange sie von Angst und Furcht beherrscht werden und Josefs pharaonischer Glanz ihnen Schrecken einjagt,erkennen sie ihn nicht,aber da kommt der Moment,wo ihn als Bruder wiedererkennen.Die erneuerte menschliche Brüderlichkeit wird in der Erzählung symbolisch mit dem Öffnen der Augen ausgedrückt: Der Mensch lebt in bestimmten Situationen wie ein Blinder und öffnet dann die Augen. Wenn wir jetzt von der anthroprologischen zur heilsgeschichtlichen Ebene übergehen,wird das Symbol ins seiner Bedeutung und in seinen Bezügen noch reicher. Die Augen öffnen sich für das Heil ieses Thema klingt in der Schrift immer wieder an.Das der Mensch sich den Schätzen der Gebote,des Gesetzes öffnet,ist die eigentliche Öffnung der Schriften.Der hl.Paulus sagt uns im Zweiten Korintherbrief,daß die Augen der Juden,die die Schrift lesen,verhüllt sind,daß aber,wenn Christus kommt,die Hülle entfernt wird und sich die Augen öffnen (vergl.2Kor 3,12.12). Die Schrift kann mit verbundenen Augen(das heißt hne daß der Sinn verstanden wird) und mit un verbundenen Augen gelesen werden.Die Öffnung der Augen ist jedoch ein Geschenk,eine Gnade.Es ist der hl.Geist,den der Auferstandene uns geschenkt hat.Aufmerksamkeit Aufmerksamkeit ist eine wachsame Haltung gegenüber dem anderen,ein Blick der nicht an der Oberfläche haften bleibt,sondern sensibel Anzeichen des Leids um sich herum wahrnimmt. Aufmerksamkeit zeigt sich darin,daß das Herz erschrocken zusammenzuckt,wenn der geschuldete Respekt,die Achtung von der Person verletzt wird.Zeichen der Aufmerksamkeit kann zum Beispiel sein,mit dem Auto oder dem Fahrrad vor dem Zebrastreifen stehenzubleiben,wenn ein Fußgänger die Straße überqueren will,und ihn nicht wie einen Kegel zu umkurven. Aufmerksamkeit ist es,nicht zu rauchen,wenn es für die anderen eine Unanehmlichkeit bedeutet.Aufmerksamkeit üben heißt sich selbst und den Ereignissen gegenüber eine angemessene Distanz einzunehmen,um besser verstehen zu können,was tatsächlich vor sich geht. Aufmerksamkeit ist letztlich Liebe,wahrhaft feinfühlige,uneigennützige und zuvorkommende Liebe. Aufmerksamkeit ist die Haltung einer Mutter gegenüber dem Kind,das im angrenzenden Hof spielt;Aufmerksamkeit ist die Haltung eines höflichen Gastes,der unbefangen,aber nicht zudringlich ist. Und diese Aufmerksamkeit ist schließlich -als allgemein menschliche Eigenschaft - eine notwendige Voraussetzung für das geistliche Leben. |